Fattispecie di furto. L’articolo 624 c.p.

Fattispecie di furto. L’articolo 624 c.p.

La fattispecie penale di furto è disciplinata all’interno dell’articolo 624 c.p., il quale stabilisce che:

Disposizione dell’articolo 624 c.p.

Primo comma

  • È punito con una reclusione che va da 6 mesi a 3 anni e con una multa da € 154 a € 516 chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Secondo comma

  • Agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.

Terzo comma

  • Il delitto è punito a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61 numero 7 e 625 c.p.

Si tratta di una figura di reato che rientra nel novero dei delitti fondamentali, in quanto le sue radici poggiano in tempi molto lontani. Ancora oggi si tratta del reato statisticamente più diffuso, nonostante il progressivo miglioramento delle nostre condizioni di vita.

Spiegazione disposizione dell’articolo 624 c.p.

Per spiegare in modo soddisfacente l’articolo 624 c.p., è necessario affrontare le singole problematiche che si possono presentare all’interprete.

Difficoltà di interpretarne la fattispecie incriminatrice di furto

In apparenza la fattispecie di furto si presenta all’interprete, come una norma di facile interpretazione. Purtroppo le cose non stanno così. Perché gli elementi costitutivi della fattispecie di base, sono ricche di complessi nodi ed incertezze interpretative. Qualcuno, infatti, auspica ad una revisione normativa dell’articolo 624 c.p.

Le difficoltà interpretative di cui stiamo parlando si presentano palesemente, già in sede di individuazione del bene giuridico oggetto di tutela.

Bene protetto nella fattispecie di furto

Una parte di dottrina fa coincidere il bene protetto, con il possesso o la detenzione che il soggetto derubato vantava sulla cosa.

Sulla base di questo orientamento, il furto si configura ogni qualvolta la cosa venga sottratta al detentore. Questo indipendentemente che il detentore vanti o meno un diritto o comunque, abbia una detenzione lecita o illecita della cosa.

In altre parole, sulla base di questo orientamento, il furto può configurarsi anche quando la cosa viene sottratta ad un soggetto, che a sua volta l’abbia rubata.

A mio avviso, questo orientamento non fa altro che degradare il requisito dell’ALTRUITÀ, richiesto o meglio imposto dalla norma, a un qualcosa di superfluo. 

Quando, invece, detto requisito dell’altruità costituisce uno dei pilastri fondamentali su cui poggia la descrizione normativa.

Anticipazione della corretta interpretazione del requisito altruità

Pertanto, bisogna rigettare questa impostazione e accogliere quegli orientamenti che interpretano correttamente questo requisito dell’altruità.

La cosa sarà definibile come altrui se la sua sottrazione lede, un interesse giuridicamente rilevante sulla base del diritto civile.

In altre parole, l’altruità è un concetto normativo che abbraccia non soltanto la proprietà, ma tutti i diritti reali o di obbligazione che ne attribuiscono a chi è titolare, un effettivo potere di uso o di godimento della cosa.

Ne consegue che il SOGGETTO PASSIVO all’interno della fattispecie di furto, è il titolare del diritto o comunque della situazione giuridicamente rilevate.

Se dunque, il soggetto che viene spogliato della cosa non coincide con il titolare del diritto, egli acquisirà il ruolo di PUNTO DI INCIDENZA DELL’AZIONE MATERIALE DI SPOSSESSAMENTO. Non quindi quello di soggetto passivo.

L’esempio che posso fare è quella del custode che non ha né il diritto di uso, né quello di godere della cosa.

Soggetto attivo nella fattispecie di furto

Soggetto attivo può essere chiunque.

Anche se è controverso se può configurarsi il furtum rei propriae o il c.d. furtum possessionis. Più precisamente il furto posto dallo stesso proprietario, a danno di chi esercita sulla cosa un diritto reale o personale di godimento.

In assenza di una esplicita presa di posizione del nostro legislatore, la tesi in favore alla configurabilità del furto di cosa propria, trova sostegno in due circostanze di fatto.

In primo luogo nell’esperienza legislativa di altri ordinamenti, dove esplicitamente si punisce il proprietario che ruba una cosa propria.

In secondo luogo, nell’impossibilità di tutelare la proprietà sino al punto che il nudo proprietario, sulla base di un titolo formale e astratto, possa abusivamente reimpossessarsi di cose su cui terzi vantano legittimi diritti reali o personali di godimento.

E comunque non si può non tener conto di un’altra circostanza di fatto. Che il nostro ordinamento, seppur con sanzioni più blande, punisce sia il comproprietario che si impossessa della cosa comune (articolo 627 c.p.); sia il proprietario che si impossessa di cose sue che però sono sottoposte a sequestro o pignoramento (articoli 334, 388 c.p.).

Condotta incriminata nella fattispecie di furto

La condotta incriminata nella fattispecie di furto, è rappresentata dall’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene.

Ne consegue che ai fini della realizzazione della condotta incriminata, sono necessari tre elementi: DETENZIONE, IMPOSSESSAMENTO, SOTTRAZIONE.

Cerchiamo adesso di comprendere ciascuno di questi termini.

Furto e il requisito della detenzione  

Ai fini del furto il termine detenzione deve essere interpretato in modo lato ed elastico e quindi, non limitato ad una relazione fisica tra il soggetto e la cosa.

In altre parole, si avrà detenzione già con la semplice disponibilità potenziale, attuale o soltanto potenziale, purché socialmente riconoscibile.

Se accogliamo questa impostazione, saremo in grado di parlare di detenzione anche in taluni casi limite. Si pensi all’ipotesi di un facchino che ruba le valigie di un cliente dell’albergo.

Casi in cui si ritiene manchi il requisito della detenzione

Il furto su cadavere

Bisogna però fare una precisazione. Che qualcuno in dottrina ritiene che non sia configurabile il delitto di furto, quando commesso su cadavere.

Questo per due ordini di ragione. Il primo perché la detenzione è una cosa che può riguardare solo una persona viva e non quindi, anche morta. In secondo luogo perché il passaggio agli eredi si verifica solamente dopo che questi abbiano accettato l’eredità.

Qualcuno contesta questa impostazione, in quanto ritiene che la suddetta accettazione abbia effetti retroattivi.

Ma anche a volerne ammettere gli effetti retroattivi, al momento dello spoglio del cadavere, le cose non vengono sottratte ad una reale sfera di signoria. In altre parole. A qualcuno che ne abbia la detezione. È quindi da escludere che l’azione sottrattiva assuma rilevanza penale a norma dell’articolo 624 c.p.

Il furto venatorio

Il requisito della detenzione sembra mancare anche nel c.d. furto venatorio o di selvaggina. Questo perché la selvaggina pur appartenendo al patrimonio indisponibile dello Stato, si sottrae per sua natura ad un rapporto di detenzione anche se inteso in senso virtuale.

Gli animali che vivono liberi possono essere oggetto di dominio da parte dello Stato, solamente quando perdono la libertà o cessano di vivere.

Requisito della sottrazione nella fattispecie di furto

La sottrazione è una condotta umana. Vista dalla prospettiva del soggetto passivo, realizza lo spossessamento. Vista dalla prospettiva, invece, del soggetto attivo realizza la condizione per il nuovo impossessamento.

Si osservi che, affinché si realizzi lo spossessamento, sono indifferenti le modalità e i mezzi attraverso i quali si realizza la condotta sottrattiva.

Ne consegue che il reo può utilizzare energie fisiche o meccaniche; può provvedere personalmente o avvalersi dell’ausilio di animali ammaestrati e così via. Ciò che conta è che una volta realizzata la sottrazione, sussegua l’impossessamento.

Requisito dell’impossessamento nella fattispecie di furto

Detto requisito si pone in essere ogni qualvolta il bene oggetto del furto, esce dalla sfera possessoria del soggetto passivo per entrare in quello del soggetto attivo.  

Deve quindi avvenire un nuovo impossessamento all’interno della quale il reo può disporre autonomamente della cosa, essendo ormai al di fuori della sfera di vigilanza del precedente possessore.

Se si realizza l’impossessamento ma il reo non è dotato dell’autonoma possibilità di disporre della cosa, egli non dovrà rispondere di furto, ma soltanto di tentato furto.

Oggetto materiale nella fattispecie di furto

L’oggetto materiale non può che essere la cosa mobile altrui.

Qui però ci poniamo un interrogativo. Che cosa bisogna intendere per cosa mobile altrui?

Definizione di cosa mobile

Per cosa mobile si deve intendere, qualsiasi ENTITÀ MATERIALE che sia idonea a soddisfare i bisogni umani. È agevole comprendere che rientrano nel concetto medesimo, anche le cose mobili che sono state immobilizzate.

Ne consegue che sulla base di questa definizione, non si potrò mai configurare il furto di diritti, aspettative o addirittura il furto di un qualcosa di spirituale.

Questo perché la cosa mobile oggetto del furto, deve sempre avere una dimensione fisica. Deve quindi poter essere, suscettibile di sottrazione.

Corpo umano e la fattispecie di furto

Ne consegue che non può costituire oggetto materiale del furto, il corpo umano nella sua totalità. Questo per diversi ordini di ragione. Perché il corpo umano è qualcosa di molto più complesso e non può essere degradato al concetto di cosa. Nonostante la coazione fisica che il reo può esercitare sul corpo della vittima, attraverso la quale potrebbe anche ammettersi che si realizza la sottrazione, non si realizzerà mai il nuovo impossessamento.

Possiamo quindi dire che se oggetto del reato è il corpo nella sua totalità, si consuma un reato differente, che è quello del sequestro di persona.

Opposto a quello del corpo nella sua totalità è, invece, il regime delle parti del corpo quando queste sono state staccate dal corpo stesso. Per comprendere meglio si pensi, al sangue, al plasma, al liquido seminale, ad un rene o ad un pezzo di fegato ai fini del trapianto. Le parti del corpo, staccate dal corpo stesso, possono essere oggetto di tutela a norma della fattispecie di furto.

Furto ed energia elettrica

Ad ogni modo, il legislatore mediante il Secondo comma dell’articolo 624 c.p., fa rientrare esplicitamente nel concetto di cosa mobile, l’energia elettrica e ogni altra forma di energia che abbia un valore economico.

Anche l’energia umana non può essere suscettibile di furto. Essa è, infatti, incorporata all’interno del corpo umano e non possiamo impossessarcene come entità a sé stante.

Valore economico della cosa mobile

Il requisito del valore economico richiesto per l’energia, ha fatto sorgere il dubbio che anche le altre cose mobili, affinché si configuri il furto, devono avere un valore economico.

L’orientamento prevalete è quello di ritenere sufficiente, sempre ai fini del furto, il semplice valore affettivo.

Requisito dell’altruità

Come abbiamo più volte detto, l’oggetto materiale nel reato di furto, è la cosa mobile altrui.

Ma cosa si deve intendere per altruità?

Sicuramente si deve trattare di una cosa mobile su cui una persona diversa dal soggetto attivo, abbia un interesse giuridicamente rilevante.

Quello che è oggetto di disputa dottrinaria, è lo stabilire se questo interesse giuridicamente rilevante si esaurisce con il diritto di proprietà, oppure ricomprende anche altri diritto o meri vincoli di interesse purché dotati di rilevanza giuridica.

Come abbiamo già anticipato, parlando del bene protetto, in dottrina vige una posizione dominante. Cioè quella di estendere l’altruità, oltre al diritto di proprietà, anche a chi vanta diritti di godimento e uso. Indipendentemente che quest’ultimi siano reali o personali.

Il dolo nella fattispecie di furto

Nella fattispecie di furto il dolo è specifico.

Esso è rappresentato dalla volontà di trarre profitto. Non importa che il profitto sia stato effettivamente conseguito, ma è sufficiente che egli miri a conseguirlo.

Ci si è posto un interrogativo ai fini del profitto. Se vale a dire esso debba avere o meno un’accezione economica.

Negli ultimi tempi si sta imponendo l’orientamento secondo cui il profitto, coincide con qualsiasi utilità, godimento o vantaggio. Quindi con una concezione non economica di profitto.

Però io non mi sento di aderire a questo orientamento, in quanto, si rischia di svuotare la punibilità del furto al solo dolo specifico.

Se per profitto intendessimo ogni vantaggio materiale e morale, il fine del reo di trarre profitto coinciderebbe già con il vantaggio di impossessarsi della cosa.

Nel dolo specifico noi sappiamo che ci si impossessi della cosa, occorre altresì che vi sia la volontà di avvantaggiarsi economicamente. Un vantaggio che deriva dal possesso della cosa rubata.

Furto e momento consumativo

Come abbiamo avuto modo già di osservare, il momento consumativo del reato è quello dell’impossessamento.

Più precisamente, si consuma solamente quando il reo può disporre autonomamente della cosa, al di fuori della sfera di sorveglianza della vittima.

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