Peculato mediante profitto dell’errore altrui. Art. 316 c.p.

Peculato mediante profitto dell’errore altrui. Art. 316 c.p.

Un’altra forma di PECULATO è quella mediante profitto dell’errore altri. Essa è infatti disciplinata dall’articolo 316 c.p. Detto articolo, infatti stabilisce che:

  • Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che nell’esercizio della sua funzione o servizio si avvale dell’errore altrui per ricevere o ritenere indebitamente – per sé o per un terzo – denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Ne consegue che i soggetti attivi possono essere solo pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio; mentre la condotta incriminata è rappresentata da ricevere o ritenere indebitamente denaro o altra utilità per sé o per un terzo.

Bene protetto

Secondo un vecchio orientamento la norma incriminatrice ha lo scopo di proteggere il dovere di integrità morale dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio.

Ma questo orientamento non è più in linea con i principi di fondo che guidano l’attività amministrativa.

Oggi l’orientamento prevalente ritiene che attraverso il peculato mediante profitto dell’errore altrui, il legislatore voglia proteggere, il patrimonio pubblico, nonché il regolare funzionamento della P.A.

Anche questa forma di peculato, al pari di quella per appropriazione disciplinato dal Primo comma dell’articolo 314 c.p., è un c.d. reato proprio in quanto, detto delitto può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio.

Condotta incriminata

Come è agevole immaginare, la condotta oggetto dell’incriminazione consiste nella INDEBITA Ricezione o Ritenzione per sé stessi o per un terzo.

Il reato dunque non si configura, se ad esempio il soggetto attivo ritiene quanto gli è dovuto, non soltanto come Pubblica Amministrazione, ma anche come soggetto privato.

Se io sono un pubblico ufficiale e trattengo indebitamente qualcosa che mi è stata data per errore, non commetto il delitto oggetto della nostra trattazione, se la cosa mi è stata consegnata per ragioni che non hanno niente a che vedere con la pubblica funzione da me svolta.

  • Ricezione: non è altro che l’accettazione di un qualcosa, senza che chi riceve ponga in essere una qualche sollecitazione. Si tratta di un atteggiamento passivo.
  • Ritenzione: mantenere presso di sé, la cosa che costituisce poi l’oggetto materiale. Detta ritenzione si può configurare tanto con l’appropriazione, quanto nel rifiuto a restituirla.

Inutile precisare che detta condotta incriminata deve avere un qualche legame con l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio.

 L’Oggetto materiale

Anche in questo caso, l’oggetto materiale è rappresentato dal denaro o altra utilità. Termine quest’ultimo che la dottrina equipara ad altra cosa mobile.

Poiché il peculato ha natura patrimoniale, il reato non si pone in essere nel caso in cui il soggetto attivo ritiene un semplice vantaggio di ordine morale.

Errore altrui

Affinché si configura il reato di cui all’articolo 316 c.p., è importante che detta Ricezione o Ritenzione sia effettuata dal soggetto attivo a causa di un ERRORE DEL PRIVATO.

Detto errore deve essere spontaneo e non deve essere sorto a causa di nessun comportamento del pubblico ufficiale.

L’errore altrui o del privato, può cadere sia sull’AN (cosa) che sul QUANTUM (quanto) debbo dare DEBEATUR.

Dolo

È di tipo generico e consiste nella volontà di tenere quanto si è ricevuto, unito alla consapevolezza dell’errore altrui.

Consumazione del reato

È il momento in cui riceve o trattiene la cosa senza restituirla.

Il tentativo

Come nelle altre forme di peculato, anche qui è ammissibile il tentativo.

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