Diritto penitenziario e principi costituzionali

Diritto penitenziario e principi costituzionali

Carcere non conforme al diritto penitenziario

Desta particolare interesse parlare del diritto penitenziario e principi costituzionali.

Una volta che la sentenza di condanna diviene definitiva, possiamo dire che si chiude la fase del procedimento di cognizione e si apre quello di esecuzione.

Quest’ultima fase serve a dare attuazione a quella che è la pronuncia giudiziale.

Così come il processo di cognizione si deve svolgere in conformità ai principi costituzionali, anche per la fase successiva dovrà avvenire lo stesso.

Per molto tempo la fonte del diritto penitenziario, è stato il Regolamento carcerario del 1931. 

Quest’ultimo, nonostante fosse ispirato ad una concezione vendicativa e retributiva della pena, ha continuato a disciplinare l’esecuzione penitenziaria anche dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione.

Ciò è avvenuto per diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, perché i vari Ministri della Giustizia pro tempore, hanno provato ad attenuarne il rigore mediante l’emanazione di varie circolari. Ovviamente dette circolari si sono rivelate inadeguate, al fine di rendere il Regolamento del 1931 conforme alla Costituzione.

In secondo luogo, perché nonostante adesso vi era l’operatività della Corte costituzionale, il Regolamento del 1931 non aveva forza di legge e quindi sfuggiva al suo sindacato.

Ne consegue che nonostante i principi in materia penitenziaria, contenuti all’interno della nostra Costituzione, essi continuavano a rimanere inattuati.

Una svolta in tal senso si ebbe con l’entrata in vigore della legge 354/1975 o altrimenti chiamata legge penitenziaria.

Perché si ebbe una svolta?

Perché finalmente questa legge cominciava a recepire e attuare quelle norme costituzionali che incidevano nel campo del diritto penitenziario.

I principi costituzionali che incidono nel diritto penitenziario

Come abbiamo già anticipato, vi sono diverse norme costituzionali che incidono nel campo del diritto penitenziario.

Si pensi all’articolo 3 il quale contiene il principio di eguaglianza; all’articolo 15 che tutela la segretezza della corrispondenza; l’articolo 19 che tutela la libertà di professare il proprio credo religioso; l’articolo 32 sul diritto alla salute.

E ancora possiamo ricordare anche altri articoli costituzionali che incidono, in modo più penetrante, nel diritto penitenziario. Sto parlando:

In primo luogo dell’articolo 25 della Costituzione il quale sancisce che:

  • Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

In secondo luogo, di tutto l’articolo 13 della Costituzione.

Infine, anche dell’articolo 27, il quale stabilisce che:

  • Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

La Corte costituzionale ha messo in stretta correlazione la prima e la seconda parte di questo Terzo comma. Per la Corte tutti i trattamenti contrari al senso di umanità, non potranno mai essere finalizzati alla rieducazione del condannato.

Il principio della finalità rieducativa della pena. Articolo 27 comma 3 della Costituzione

Essa è la regola cardine su cui il legislatore deve ispirarsi, nel dettare la disciplina di una pena detentiva. 

Sorge già nell’immediato una domanda di non poco conto. Cosa significa ai fini della pena, finalità rieducativa?

La risposta è abbastanza semplice. In passato, la rieducazione del condannato, si riferiva alla sfera interiore del medesimo. Il condannato si riteneva rieducato non appena si fosse pentito di ciò che aveva fatto.

Oggi, invece, è cambiata detta impostazione. Dottrina e giurisprudenza sono quasi unanimi nel ritenere che per rieducazione, si deve intendere la sua capacità al reinserimento in società.

Si osservi che dette pene detentive mentre possono avere anche natura retributiva, non possono mai essere sprovviste della natura rieducativa.

Il principio di rieducazione del condannato come interesse collettivo

Alla luce di quanto appena esposto, tutte le pene, detentive e non detentive, devono quindi tendere alla rieducazione del condannato.

Si osservi che questa finalità imposta dalla nostra Costituzione, non serve a curare l’interesse del soggetto reo; quanto invece a curare l’interesse dell’intera collettività.

Questo perché se il reo è stato rieducato, si riuscirà ad avere un contributo importante contro la delinquenza e contro i singoli delitti.

Ovviamente detta rieducazione da una parte non può presumersi avvenuta ad ogni espiazione della pena; dall’altra non è neanche un qualcosa che può essere imposta coattivamente al condannato.

Ne consegue che l’articolo 27, nell’imporla al legislatore, auspica che vi sia una collaborazione in tal senso da parte del reo.

La tutela dei detenuti a livello sovrannazionale

Nonostante l’entrata in vigore della Costituzione, della legge penitenziarie e delle successive diverse Novelle, non possiamo certo dire che le attuali condizioni dei detenuti siano in uno stato ottimale.

Purtroppo questa situazione è un problema presente tanto in Italia, quanto nella stragrande maggioranza dei Paesi europei.

Proprio per quanto sto asserendo la tutela del detenuto, è un qualcosa che si è cercata di attuare anche a livello sovranazionale.  

Al riguardo è interessante richiamare le:

  • Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners: Elaborata dall’ONU nel 1955 altrimenti chiamate Regole minime standard per il trattamento dei prigionieri..
  • Regole minime per il trattamento dei detenuti: Si tratta di una Raccomandazione adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel 1973.

Mediante quest’ultima si raccomandava appunto agli Stati membri, di assicurare ai carcerati condizioni non inferiori a quelle previste dalle direttive in materia.

Direttive, quest’ultime, che sono state aggiornate e che hanno dato luogo nel 2006 alle Regole penitenziarie europee.     

Ma tutti questi importantissimi documenti, avevano un punto debole. Vale a dire, quello di non essere vincolanti per gli Stati destinatari.

Normativa sovranazionale vincolante

Come già sappiamo è diversa, invece, la natura delle Convenzioni. Quest’ultime sono, infatti, direttamente vincolanti all’interno degli Stati membri.

Vi sono diverse Convenzioni che incidono nel tema del diritto penitenziario. In modo particolare è interessante citare:

  • La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: Entrata in vigore nel 1953, al suo interno vi sono diversi articoli che tutelano la condizione dei detenuti. Tra i vari articoli sicuramente merita particolare attenzione l’articolo 3. Esso, infatti, vieta la tortura e i trattamenti disumani o degradanti.

Si ha quindi una norma che ripete parte del contenuto del Terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione.

  • E la Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti: Essa è entrata in vigore nel 1989. Per tortura si intendono tutte quelle attività che comportano al detenuto forti sofferenze fisiche o psichiche. Si considerano trattamenti inumaniquelli che si differenziano dalla tortura solo per il minor grado di sofferenza che essi provocano. Infine, si considerano trattamenti degradanti quelli che ne ledono la dignità.

Non soltanto, come già anticipato, dette Convenzioni sono direttamente vincolanti, ma per assicurarsi che esse venissero attuate sono stati istituiti due organi.

Rispettivamente:

La Corte europea per i diritti dell’uomo e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

Mentre il Comitato europeo per la prevenzione svolge la sua attività, facendo ispezioni nelle strutture carcerarie dei paesi membri; la Corte europea per i diritti dell’uomo è, invece, un organismo avente natura giurisdizionale.

Le sue pronunce sono riuscite, infatti, a influenzare la legislazione italiana in tema di diritto penitenziario.

La Corte europea per i diritti dell’uomo e l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

Come già anticipato, la Corte europea per i diritti dell’uomo è stata istituita, per garantire che le norme contenute nella Convenzione venissero applicate negli Stati membri.

Al riguardo è interessante mettere in evidenza come molte pronunce della Corte europea, abbiano inciso nella legislazione del diritto penitenziario italiano.

In modo particolare, essa ha più volte ritenuto violato il dispositivo contenuto nell’articolo 3 C.e.d.u., in quanto ha ritenuto lesa la dignità dei detenuti.

Con alcune sentenze ha condannato l’Italia, in quanto aveva ritenuto che il sovraffollamento delle carceri non rispettasse la dignità dei detenuti. Ciò ha portato il legislatore italiano ad adottare dei provvedimenti che hanno ridimensionato, il numero degli ospitati presso le case circondariali.

Mentre con altre sentenze hanno condannato l’Italia, con riferimento all’ergastolo ostativo.

Vale a dire, quella pena che consiste nella detenzione a vita senza possibilità di alcun beneficio per buona condotta. L’ergastolo ostativo si applicava solo in caso di reati gravissimi, come stragi e omicidi di stampo mafioso.

Ho scritto si applicava perché a breve distanza dalla sentenza della Corte europea, intervenne la Corte costituzionale.

Quest’ultima dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis della legge penitenziaria, nella parte in cui consentiva i permessi premio nella sola ipotesi in cui i detenuti avessero collaborato con la giustizia ai sensi dell’articolo 58 ter.

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