Art. 326 c.p. Rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio

Art. 326 c.p. Rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio

Desta particolare importanza parlare del delitto di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, il quale trova la sua disciplina all’interno dell’articolo 326 comma Primo, Secondo e Terzo. 

Esso, infatti, stabilisce che:

Primo comma:

È punito con una reclusione che va da 6 mesi a 3 anni, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che:

  • Violando i doveri inerenti alla sua funzione o al suo servizio

Ovvero

  • Abusando della sua qualità

RIVELA NOTIZIE D’UFFICIO CHE DOVEVANO RIMANERE SEGRETE O COMUNQUE NE AGEVOLA LA CONOSCENZA.

Secondo comma:

Se l’agevolazione è soltanto COLPOSA si applica la reclusione fino ad un anno.

Prima della Riforma del ’90 l’Utilizzazione di segreti d’ufficio, non costituiva di per se stesso un fatto di reato. Detta utilizzazione dei segreti d’ufficio acquisiva rilevanza penale, solo se integrava i presupposti

  • Dell’intere privato
  • O dell’abuso innominato d’ufficio

A seguito della Riforma del ’90, il legislatore ha aggiunto il Terzo comma all’articolo 326 c.p., con il quale ha provveduto a rendere l’Utilizzazione di segreti d’ufficio, una figura di reato autonoma.

Questo è accaduto per quale motivo?

Perché si volevano sanzionare comportamenti che altrimenti sarebbero rimasti impuniti, in quanto, difficilmente si sarebbero potuti far rientrare nella fattispecie generale di abuso di ufficio di cui all’articolo 323 c.p.

ESEMPIO: Si pensi a tutte le ipotesi in cui il pubblico ufficiale opera uti privatus negli atti di gestione della pubblica amministrazione.

Ricordiamoci dell’esempio del sindaco, il quale titolare di un’impresa edile, partecipa alla gara d’appalto bandita dal suo stesso Comune.

Alla luce di quanto appena detto il Terzo comma dell’articolo 326 c.p. stabilisce che:

  • Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che,

PER PROCURARE a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale

SI AVVALE ILLECITAMENTE

Notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, è punito con la reclusione da 2 anni a 5 anni.

 

Continua sempre il Terzo comma stabilendo che:

 

Se il fatto è commesso per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale, ovvero, cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a 2 anni.

Disciplina della Rivelazione di segreti d’ufficio e quindi il Primo e il Secondo comma

Soggetto attivo

Sono soltanto il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio.

Sono esclusi gli esercenti di un servizio di pubblica necessità, i quali, laddove dovessero rivelare notizie segrete saranno puniti a norma dell’articolo 622 c.p.

Bene protetto

Regolare funzionamento della pubblica amministrazione e quindi buon andamento e imparzialità.

Condotta incriminata

Consiste nel Rivelare o nell’Agevolare la divulgazione di notizie d’ufficio, che devono rimanere segrete. Il tutto in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero, della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio.

La Rivelazione poiché è un comportamento attivo, in quanto, consiste nel portare a conoscenza gli altri di un segreto può essere posto in essere solo un una condotta commissiva.

Diversamente l’Agevolazione che consiste in una facilitazione, può attuarsi sia con una condotta commissiva che omissiva.

In conformità all’articolo 326 c.p., solamente L’Agevolazione e non anche la Rivelazione è punita, anche se soltanto COLPOSA.

L’oggetto del segreto NON è la notizia che ho appreso per ragioni d’ufficio, ma è la notizia d’ufficio, vale a dire tutte le conoscenze che rientrano nella competenza dell’ufficio.

Ovviamente questo SEGRETO deve essere il frutto di un obbligo. Obbligo che può derivare:

  • Dalla Legge
  • Da un Regolamento
  • O da un ordine legittimo dell’autorità

N.B. In ogni caso esiste un generale obbligo al dovere di segretezza contenuto nella legge n. 3 del 1957, il quale, stabilisce che:

  • Anche se non si tratta di atti segreti, l’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio su questi atti, nei confronti di chi non ne ha il diritto, se dalla divulgazione dei medesimi, può derivare un danno per l’amministrazione o per i terzi.

Ad ogni modo il dovere di segretezza viene meno, ogni qualvolta la rivelazione ha ad oggetto Fatti illeciti, futili, insignificanti o notori.

Struttura plurisoggettiva del delitto in esame

Il delitto ha una struttura naturalmente plurisoggettiva, in quanto, per aversi rivelazione o agevolazione, è necessario che vi sia un destinatario.

Tuttavia, essendo il divieto rivolto solamente al soggetto intraneus, la persona che riceve la notizia (extraneus) non rientra nel dettato del precetto dell’articolo 326 c.p. e quindi non è punibile.

Per comprendere meglio possiamo ricordare la sentenza richiamata dal libro: In questa sentenza, si punisce il vicedirettore del SISDE, il quale rivela ad un giornalista de “Il Messaggero” il contenuto dell’interrogatorio reso dal pentito Peci dinanzi al Giudice Istruttore presso il Tribunale di Roma; mentre non è ritenuto punibile il giornalista, quale semplice ricettore della informazione.

Ne consegue che sulla base dell’articolo 326 c.p., il soggetto destinatario del segreto d’ufficio non è punibile, SALVO IL CASO che detto soggetto extraneus non si limita a ricevere la notizia, ma compie un’attività diversa. Si pensi al privato che istiga il pubblico ufficiale a violare il segreto.

Ma in quest’ultimo caso, la punibilità dell’extraneus avviene sulla base dell’applicazione dei principi generali in tema di CONCORSO DI PERSONA NEL REATO.

Consumazione

Il delitto si consuma nel luogo e nel tempo in cui il destinatario apprende la notizia coperta dal segreto d’ufficio.

Dolo

Si tratta di un dolo GENERICO e quindi nella cosciente volontà di rivelare la notizia. Anche se in dottrina si ritiene che l’errore sulla segretezza esclude la volontà colpevole.

Solamente l’Agevolazione è altresì punita a titolo di colpa.

Il tentativo

È configurabile nell’ipotesi di condotta frazionata.

Disciplina dell’Utilizzazione dei segreti d’ufficio e quindi il Terzo comma

Il Terzo comma dell’articolo 326 c.p. stabilisce che:

  • Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che,

PER PROCURARE a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale

SI AVVALE ILLECITAMENTE

Notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, è punito con la reclusione da 2 anni a 5 anni.

 

Continua sempre il Terzo comma stabilendo che:

 

Se il fatto è commesso per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale, ovvero, cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a 2 anni.

Condotta incriminata

Essa consiste nell’AVVALERSI ILLEGITTIMAMENTE di notizie d’ufficio che debbono rimanere segrete.

Avvalersi è un concetto generico e ricomprende tutte le forme di sfruttamento e utilizzazione delle conoscenze che il pubblico ufficiale, ha acquisito per ragioni d’ufficio.

Esi osservi che detta condotta incriminata dell’AVVALERSI illegittimamente, da luogo a conseguenze sanzionatorie differenti a seconda della finalità.

Se ci si avvale illegittimamente delle notizie d’ufficio che devono rimanere segrete per PROCURARE A SE’ O AD ALTRI UN INDEBITO PROFITTO PATRIMONIALE si applica la reclusione da 2 anni a 5 anni.

Se invece ci si avvale per PROCURARE A SE’ O AD ALTRI UN INGIUSTO PROFITTO NON PATRIMONIALE, ovvero, per CAGIONARE AD ALTRI UN DANNO INGIUSTO, si applica la reclusione fino a 2 anni.

In assenza di precisazione da parte del legislatore, il danno può avere natura sia patrimoniale che non patrimoniale.

Dolo

Il dolo all’interno del Terzo comma dell’articolo 326 c.p., si presenta come DOLO SPECIFICO.

CONSIDERAZIONE FINALE

È molto strano che il legislatore abbia deciso di sanzionare con pene edittali minori, l’avvalersi di notizie segrete d’ufficio (Terzo comma), rispetto alla meno grave fattispecie di rivelazione di segreti d’ufficio (Primo e Secondo comma), per la quale invece, sono previste pene edittali più severe.

Inutile precisare che qualcuno in dottrina, ha mosso dubbi di incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza.

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