Criteri di determinazione del reddito d’impresa

Criteri di determinazione del reddito d’impresa

Desta particolare interesse parlare dei criteri di determinazione del reddito d’impresa.

A differenza di quanto avveniva nel testo originario del DPR 1986 n. 917 (c.d. TUIR) – e di quanto avviene ancora oggi con riferimento alle altre categorie reddituali – la disciplina di determinazione del reddito d’impresa, non è più contenuta all’interno del primo titolo del TUIR. In altre parole, la disciplina non è più contenuta nel titolo del TUIR dedicato all’IRPEF, bensì nel secondo titolo che è quello dedicato all’IRES.

Norme quest’ultime (quelle dell’IRES), che vengono poi richiamate solo parzialmente nella disciplina del reddito d’impresa, delle persone fisiche e degli enti non commerciali.

Ciò trova la sua giustificazione in una circostanza di fatto.

La disciplina del reddito d’impresa risulta fondata, su una concezione assai diversa rispetto a quella che sta alla base delle altre categorie reddituali. Per l’attività di impresa commerciale, infatti, si è realizzato un progressivo passaggio, dal concetto di reddito prodotto a quello di reddito entrata.

Vediamo di analizzare i singoli criteri, mediante i quali andiamo a determinare il reddito d’impresa.

Elenco dei singoli criteri per la determinazione del reddito d’impresa:

La disciplina tributaria di determinazione del reddito d’impresa si fonda su cinque principi o criteri. Più precisamente il CRITERIO di:

  • Derivazione
  • Imputazione
  • Non tassatività
  • Inerenza
  • Competenza

Si osservi che tutte e cinque i criteri devono essere utilizzati per arrivare correttamente alla determinazione del reddito. Essi  sono articolati nelle diverse norme che disciplinano il reddito d’impresa e servono per una corretta interpretazione delle norme che consentono di determinare il reddito medesimo.

Criterio di Derivazione

E’ sicuramente il criterio più importante e trova la sua definizione nell’articolo 83 TUIR. Articolo quest’ultimo che si applica anche alle persone fisiche e quindi ha portata generale, in quanto si applica a tutti i soggetti che realizzano reddito d’impresa.

Disciplina determinazione reddito d’impresa

Come si determina il reddito d’impresa?

L’articolo citato stabilisce che: il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alle perdite risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni.

Vediamo di decodificare questa disposizione.

Intanto dobbiamo capire il perché viene usata l’espressione derivazione. Noi sappiamo che per il codice civile tutti gli imprenditori a qualunque livello – eccetto il piccolo imprenditore – hanno l’obbligo di tenuta del libro giornale e del libro inventario. Quest’ultimo si chiude con il c.d. bilancio (le società di capitali devono presentare il bilancio alla camera di commercio).

Ora sulla base di quanto appena espresso, dobbiamo dire che c’è stato un lungo dibattito al riguardo. Più precisamente ci si è chiesto se il legislatore tributario avesse dovuto optare:

Per la c.d. regola del doppio binario. La quale consiste nell’obbligare gli imprenditori a redigere due bilanci. Quello civile redatto ottemperando alle normali norme civilistiche; quello fiscale ottemperando nella sua redazione, alle regole interamente dettate dallo stesso legislatore tributario.

Ovvero, prendere come punto di riferimento il solo bilancio civile.

Come sappiamo, il legislatore tributario ove può attinge sempre. Attinge nozioni, concetti, istituti e discipline che sono già presenti e collaudati in altri ordinamenti. Pertanto ha optato per la seconda soluzione.

Il ragionamento seguito è stato il seguente. Gli imprenditori devono già redigere un bilancio sulla base delle norme civilistiche? La risposta è si, quindi prendiamo come punto di partenza, il c.d. dato grezzo. Si tratta del dato risultante da detto bilancio redatto in conformità alle norme civilistiche. Ed ecco da qui l’espressione derivazione. Perché il dato grezzo da cui si parte, deriva dal bilancio civile.

Dato grezzo

Ma cos’è il dato grezzo?

Spesso, sbagliando, si dice che il punto di partenza, sia dato dalle attività e dalle passività.

Perché dire questo è sbagliato?

Perché dette attività e passività sono date dallo stato patrimoniale, mentre noi dobbiamo guardare al conto economico. Più precisamente non ai proventi e ai costi, ma al risultato del conto economico stesso.

E questo perché quello che a noi interessa, è avere conoscenza dell’utile o della perdita. Il quale, altro non è che un numero.

Quindi del bilancio che è costituito dallo stato patrimoniale e dal conto economico, non si va a fare riferimento ai singoli componenti, ma solo al risultato finale;  utile o perdita.

Al “dato grezzo” si devono apportare le dovute variazioni

Rileggendo la norma: il reddito è determinato apportando all’utile o alla perdita le variazioni che dipendono dalle norme fiscali.

Per poter variare questo risultato però, lì si che dobbiamo scendere nel dettaglio dei singoli componenti del conto economico. Dobbiamo vedere se questi ricavi e costi, così come sono stati messi nel bilancio civilistico, hanno una disciplina uguale o diversa a quella fiscale. Se avranno una disciplina diversa mi limiterò, in ottemperanza a questa, a variare il risultato di quella singola componente del conto economico.

Quella singola componente si è formato attraverso le regole civilistiche, le quali sempre sono uguali anche dal punto di vista fiscale.

Vediamo come ci dobbiamo comportare quando facciamo la dichiarazione dei redditi.

Nell’apposita casellina dell’Unico si deve inserire, l’utile o la perdita risultante dal conto economico. Successivamente e quindi nelle caselline sotto, si apportano le eventuali variazioni in aumento o in diminuzioni richieste dalle norme fiscali. Il risultato delle suddette varizioni, ci darà l’imponibile del reddito d’impresa o il c.d. reddito netto di categoria.

Spiegazione del perché bisogna apportare le suddette variazioni 

A questo punto, ci poniamo un interrogativo. Perché l’imprenditore deve apportare dette variazioni al dato grezzo? Non può, ai fini della dichiarazione dei redditi, utilizzare così com’è il risultato del bilancio civile?

La risposta è semplice. L’ottica civilistica è totalmente diversa da quella fiscale. Nel bilancio civile vige la regola della prudenza e quindi parlando dei costi, essi vanno messi anche se solo probabili.

Faccio un esempio: se ho una causa, anche se penso di vincere, devo sempre accantonare una somma per l’eventuale soccombenza. Guai a non rispettare la prudenza nel bilancio civile.

Agli occhi del fisco questa prudenza è inaccettabile, perché anticipando i costi riduco l’imponibile fiscale. A maggior conferma, il legislatore tributario consente la deducibilità solo dei costi certi e non probabili.

Per fare un esempio:

  • Personale dipendente: si deduce come nel bilancio civile
  • Merce conto acquisti: anche questa in linea di principio si deduce come nel bilancio civile
  • Accantonamento: si deduce fiscalmente nel limite dell’0.50 % variazione in aumento che depura il dato grezzo del bilancio
  • Ammortamento: posso dedurre fiscalmente solo il 20 % variazione in aumento
  • Plusvalenze da cessione di azienda di 5000: la norma fiscale stabilisce che se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, la plusvalenza che nel conto economico è stata caricata correttamente e interamente caricata nell’anno di realizzo, fiscalmente il contribuente se vuole può spalmarli nell’anno ed entro i successivi quattro. Variazione in diminuzione.

Criterio di “non” Tassatività 

Detto criterio non ha una espressa formulazione normativa. E’ una conseguenza diretta del principio di derivazione e del fatto che le norme tributarie non contengono una disciplina completa ed esaustiva del reddito d’impresa.

Alcuni autori per sostenere che la disciplina del reddito d’impresa è incentrata sul concetto di reddito di entrata, indicano questo criterio come quello della “non tassatività”. Essi asseriscono che alla determinazione del reddito d’impresa possono concorrere anche elementi positivi o negativi diversi da quelli espressamente regolati dalle norme tributarie. Purché chiaramente incidenti sui risultati del conto economico.

In realtà, questo criterio esprime un concetto molto chiaro. Vale a dire che non sono ammesse deduzioni  e accantonamenti diversi da quelli previsti dalla legge fiscale. Ed è proprio per questo motivo che io preferisco parlare di questo criterio, come quello di “tassatività” anziché di “non tassatività”.

Criterio di Competenza

 Il criterio di competenza ha una rilevanza centrale nella disciplina del reddito d’impresa. Esso è disciplinato dall’articolo 109 TUIR, il quale articolo stabilisce che:

I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, se non è disposto diversamente dalla legge, concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di competenza. Tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.

A differenza di quanto avviene con il principio di cassa, nella competenza gli elementi positivi e negativi del reddito, vanno imputati nel periodo d’imposta in cui sono sorti, rispettivamente i diritti o gli obblighi. Questo anche se materialmente non è stata ancora posta in essere, la riscossione o l’adempimento.

Precisazioni inerenti al criterio di competenza

Questo criterio, fondamentale anche per la disciplina civilistica del bilancio, è oggetto di importanti specificazioni da parte del legislatore tributario.

Infatti, quest’ultimo (articolo 109 sempre comma 1 TUIR), non soltanto precisa, che se vi sono componenti reddituali incerti dal punto di vista della loro esistenza (an) o del loro ammontare (quantum), essi concorrono a formare il reddito d’impresa solo nel periodo d’imposta in cui l’incertezza viene meno, lasciando il posto alla certezza.

Ma nel secondo comma dell’articolo 109 TUIR , provvede a precisa altresì, esplicitamente la competenza economica di alcuni importanti tipologie contrattuali; più precisamente I CORRISPETTIVI DERIVANTI DALLE:

  • Cessioni di beni mobili: si considerano conseguiti e le spese sostenute, alla data di consegna o spedizione del bene o comunque, nel momento in cui si realizza l’effetto traslativo della proprietà o di altro diritto reale.
  • Cessioni di beni immobili: si considerano conseguiti e le spese sostenute, alla data di stipulazione dell’atto di trasferimento del bene.
  • Prestazioni di servizi: si considerano conseguiti e le spese sostenute, alla data in cui le prestazioni sono state ultimate; se invece si tratta di prestazioni periodiche (vigilanza, pulizia ecc), si prende in considerazione la data di maturazione dei corrispettivi.

N.B. il principio di competenza non si applica se la legge tributaria stabilisce diversamente. Anche con riferimento al reddito d’impresa il legislatore può chiedere l’applicazione dell’opposto criterio di cassa.

Criterio di Inerenza

Questo criterio costituisce un fondamentale requisito nella determinazione del reddito d’impresa.

In prima approssimazione può dirsi che, l’inerenza è quel principio che disciplina il rapporto intercorrente tra componenti passive e attive del reddito d’impresa, ai fini della deducibilità delle prime sulle seconde.

Primo orientamento dottrinario

Esso, a dire il vero, non trova una puntuale definizione normativa all’interno del c.d. TUIR. Anzi buona parte degli studiosi, lo ritiene un principio che deriva direttamente dalle norme civilistiche che regolano la formazione del correlativo bilancio.

Sarebbero gli stessi principi civilistici ad escludere la possibilità di indicare nel bilancio, elementi negativi estranei all’attività imprenditoriale. Tale principio assumerebbe poi rilevanza anche fiscale in forza dell’art. 83 TUIR, il quale, richiami il risultato del bilancio civile. Si tratta del dato grezzo che come abbiamo visto, è il punto di partenza per calcolare del reddito imponibile.

Secondo orientamento dottrinario

Secondo una parte della dottrina, invece, il principio di inerenza è da considerarsi un criterio normativamente disciplinato. Più precisamente disciplinato dal quinto comma dall’art. 109 TUIR, il quale stabilisce che:

I componenti passivi sono deducibili solo se, e nella misura in cui, si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito, anche se non possono essere dedotti quei componenti passivi che si riferiscono a proventi intassabili.”

 Si tratta in realtà di una conclusione discutibile.

L’articolo 109 comma Cinque non contiene una disciplina generale del concetto di inerenza. Esso fissa i criteri per il calcolo del cosiddetto pro-rata di deducibilità dei costi.

Immaginiamo che un’impresa generi sia ricavi imponibili che ricavi esenti. Qui si pone il problema – risolto con il predetto comma – di individuare fra le diverse spese, quali sono riferibili ai ricavi imponibili e quindi deducibili.

Proprio per quanto finora detto, vi sono stati diversi dubbi attorno al contenuto del principio medesimo. La giurisprudenza si è, infatti, ripetutamente occupata del principio di inerenza dei costi:

Orientamento Recente

Richiede per la deduzione un legame tra il costo sostenuto e l’attività d’impresa in generale. Con esclusione quindi, delle spese di carattere extra aziendale.

Orientamento Risalente

In forza di una rigorosa lettura dell’articolo 109 comma Cinque TUIR, richiedeva uno stretto collegamento tra il costo e la produzione del ricavo.Sulla base di questo orientamento, erano da considerarsi non inerenti tutti quei costi che non producevano ricavi. Si pensi ad esempio alle spese sostenute, per migliorare l’immagine dell’impresa. Oggi queste spese sono deducibili, in quanto, oggetto di specifiche disposizioni normative.

Ad ogni modo, la maggior parte delle spese la cui deducibilità era in passato controversa, è stata oggi fatta oggetto di disposizioni specifiche. Si pensi all’articolo 108 TUIR con riferimento alle spese di pubblicità e propaganda, rappresentanza, studi, ricerche, ecc.

Aree problematiche di deducibilità

Ciò nonostante persistono ancora aree ritenute problematiche come ad esempio, la deducibilità:

  • Dei costi eccessivi
  • Delle spese per sanzioni pecuniarie amministrative

Deducibilità dei costi eccessivi

Normalmente si esclude la possibilità che l’amministrazione finanziaria, possa sindacare la congruità dei costi pattuiti dall’imprenditore per l’acquisto dei beni e servizi. Ciò nonostante la giurisprudenza ha talora consentito la deducibilità parziale della spesa. Più precisamente della sola parte che non risulti esorbitante, tenendo conto delle peculiari modalità in cui l’attività d’impresa venga svolta.

Deducibilità delle sanzioni amministrative

La giurisprudenza è da tempo orientata, nel senso di escludere la loro deducibilità del reddito d’impresa. Questo proprio perché la finalità delle sanzioni, è quella di scoraggiare i comportamenti antigiuridici.

Tuttavia, una parte della dottrina ha fatto notare una cosa interessante. Così come si sottopongono a tassazione i proventi derivati da attività illecite, si dovrebbe consentire la deducibilità di sanzioni non penali, subite per comportamenti volti a conseguire i proventi medesimi.

Criterio di Imputazione

Esso consiste nella rilevanza fiscale – che bisogna attribuire all’imputazione o non imputazione – degli elementi reddituali, sia positivi che negativi, tra le voci del conto economico.

Non a caso, l’articolo 109 comma Tre TUIR dispone che:

  • I ricavi, gli altri proventi di ogni genere e le rimanenze concorrono a formare il reddito anche se non risultano imputati al conto economico.

Bisogna quindi operare nella dichiarazione tributaria le apposite variazioni in aumento rispetto al risultato del conto economico, se questo non comprende ogni elemento attivo rilevante ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

Invece, l’articolo 109 comma Quattro TUIR stabilisce che:

  • Le spese e gli altri componenti necessari, non sono ammesse in deduzione se non nella misura in cui risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza.

Ai fini della deduzione dei componenti negativi, è necessario che essi risultino contabilmente nel bilancio. Esso si ritiene, infatti, che sia un ottimo strumento per comprendere la gestione economica dell’impresa.

Deroga al principio generale dell’indeducibilità

Nonostante quanto appena detto, è importante fare una precisazione. Il Quarto comma dell’articolo 109 TUIR, consente di derogare al principio generale dell’indeducibilità dei costi e oneri non imputati al conto economico.

Esso non richiede ai fini della deduzione, infatti, l’imputazione contabile di taluni specifici componenti negativi. In modo particolare l’imputazione:

  1. Delle spese imputate al conto economico in un esercizio precedente, la cui deduzione è stata rinviata conformemente alle norme fiscali. Si pensi alle spese di pubblicità e propaganda.
  2. Dei costi che seppur non imputabili al conto economico, sono ugualmente deducibili per disposizione di legge. Si pensi ai costi connessi alla partecipazione agli utili dell’impresa spettanti ai lavoratori dipendenti. Sto parlando dell’articolo 95 comma 6 TUIR.

Sulla base di quanto appena esposto, si ha una forte limitazione. Quella di operare nella dichiarazione dei redditi, le variazioni in diminuzione che sarebbero consentite dal principio di derivazione.

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