Diritto del lavoro: Caduta del Fascismo e Statuto dei lavoratori

Diritto del lavoro: Caduta del Fascismo e Statuto dei diritti dei lavoratori

Nel periodo successivo alla caduta del fascismo si ebbe la soppressione delle strutture sindacali-corporative e la ricostituzione di un regime di libertà sindacale.

Ad ogni modo, per non lasciare i lavoratori privi di qualsiasi tutela sociale, furono mantenute provvisoriamente in vigore le norme contenute all’interno dei contratti collettivi stipulati nel periodo precedente e quindi in quello del regime corporativo fascista.

Con il famoso accordo Buozzi-Mazzini, fu superato il patto di Palazzo Vidoni del 1925 e pertanto si ebbe la ricostituzione delle c.d. Commissioni Interne d’azienda.

A causa del monopolio sindacale fascista, tutto il sindacalismo antifascista si era in qualche modo unito all’interno della CGIL. Esso era, infatti, composto da componenti socialiste, democristiane e comuniste.

Ma già nel 1948 a seguito della spaccatura politica, fortemente influenzata dalla Guerra fredda e avvenuta fa democristiani e social-comunisti, si ebbe la rottura di questa unità con la conseguente nascita della CISL e della UIL. La prima di ispirazione cattolica, la seconda, invece, di ispirazione repubblicano-socialista.

Entrata in vigore della Costituzione

Il primo gennaio del 1948 è entrata in vigore la nostra Costituzione, la quale ha segnato l’inizio di una nuova epoca per il diritto del lavoro, in quanto, ne ha rafforzato il fondamento e ne ha indicato la direzione di sviluppo.

Anni ‘50

Più precisamente per quanto riguarda il 1950, possiamo dire che questo è un periodo storico che viene ricordato per la ricostruzione e per il c.d. boom economico e pertanto non si sono avute leggi particolari che incidessero nella materia del diritto del lavoro.

Dal punto di vista del diritto sindacale, si è avuto uno sviluppo della contrattazione collettiva di categoria. I sindacati invece erano deboli e divisi, infatti avevano difficoltà a penetrare all’interno dei luoghi di lavoro.

Anni ‘60

Le cose cambiarono nel 1960, in quanto salì al governo il Partito socialista il cui programma dedicava particolare attenzione alla protezione dei lavoratori.

Ne consegue che questo fu un decennio caratterizzato dall’emanazione di leggi importanti a tutela del lavoro subordinato:

  • La legge sul divieto di interposizione nell’impiego di manodopera (sul divieto di caporalato).
  • La legge che recava limitazioni alla stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato.
  • La legge che per la prima volta ha limitato – anche se con un blando regime sanzionatorio – l’esercizio del potere imprenditoriale del licenziamento. Si superò di fatto il dogma che dal contratto di lavoro l’imprenditore avrebbe potuto recedere liberamente.
Anni ‘70

Sempre da punto di vista del diritto del lavoro, dobbiamo dire che il periodo che va tra la fine del 1960 e l’inizio del 1970 si caratterizza per la presenza di fenomeni di vasta contestazione politica e sociale.

In modo particolare, per ottenere il rinnovo dei principali contratti collettivi di categoria, si erano poste in essere vere e proprie lotte e agitazioni sociali che arrivarono a diffondersi anche nei luoghi di lavoro, dando vita a fenomeni di sindacalismo spontaneo.

Un sindacalismo quest’ultimo che si trovava spesso in contraddizione con il c.d. sindacalismo ufficiale e con le forze storiche della sinistra parlamentare.

E fu proprio per la preoccupazione della sinistra politica e sindacale di non farsi scavalcare da movimenti spontanei ed extraparlamentari che essi hanno provveduto ad emanare una legge tanto attesa.

Sto parlando della legge 20 maggio 1970 n. 300, ovvero, il c.d. Statuto dei diritti dei lavoratori.

Detto Statuto aveva due finalità:

  • Tutelare la libertà e la dignità dei lavoratori
  • Promuovere la presenza di organismi di rappresentanza dei lavoratori che fossero collegati ai sindacati più rappresentativi. In altre parole, promuovere lo svolgimento dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro.

Si osservi che attraverso lo Statuto prima e altre leggi dopo, il 1970 si caratterizza per la forza con cui si sono tutelati i diritti dei lavoratori, basti pensare:

  1. All’articolo 18 dello Statuto il quale prevedeva nel caso di licenziamento illegittimo, il Reintegro nel posto di lavoro.

 

  1. Alla legge del 1973/533 con cui si è istituito un rito processuale speciale per le controversie di lavoro.

 

  1. Alla legge sulla tutela delle lavoratrici madri.

 

  1. O ancora alla legge sulla parità dell’uomo e della donna.

 

Sempre con riferimento agli anni del 1970, possiamo dire che essi si sono caratterizzati altresì:

  • Sia per l’unità di azione delle tre maggiori organizzazioni sindacali;
  • Sia per l’ampio sviluppo della contrattazione collettiva (nazionale e aziendale).

Nel 1970 si è avuto un definitivo radicamento del sindacato in azienda e una lievitazione dei livelli retributivi dei lavoratori.

Retribuzioni quest’ultime che erano protette anche nei confronti dell’inflazione, attraverso un sistema che ne prevedeva un incremento automatico all’aumentare del costo della vita. Era la c.d. scala mobile.

Alla luce di quanto detto, possiamo dire che gli anni ’70, possono essere considerati gli anni che hanno conferito un valore politico e sociale alla classe lavoratrice.

Gli anni in cui il diritto del lavoro è stato particolarmente esaltato nella sua funzione protettiva, in quanto la stessa giurisprudenza ha finito per assumere un indirizzo garantista e quindi di tutela a quelli che erano i diritti dei lavoratori.

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