Il regime degli enti non commerciali

Il regime degli enti non commerciali

Per quanto concerne il regime degli enti non commerciali dobbiamo dire che, esso riguarda in modo specifico tutti gli Enti di tipo associativo:

  • Associazioni con e senza personalità giuridica
  • Consorzi
  • ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale)
  • e così via

Come abbiamo già visto, mentre per gli Enti commerciali vige il principio di ATTRAZIONE, ovvero, che tutti i redditi da qualsiasi fonte provengano sono considerati reddito d’impresa.

Per gli Enti NON commerciali vige, invece, il principio opposto. Più precisamente, il principio secondo cui il loro reddito complessivo, è costituito dalla somma dei redditi: fondiari, di capitale, d’impresa, diversi.

In altre parole, la determinazione del reddito complessivo degli Enti NON commerciali, avviene in conformità a quanto stabilito per la determinazione del reddito complessivo delle persone fisiche. Con la non secondaria differenza che, detti redditi sono sempre assoggettati all’aliquota IRES (27.5%) e mai all’aliquota progressiva IRPEF.

Cosa accade se l’Ente non commerciale svolge attività commerciale in via secondaria 

A questo punto è interessante porsi una domanda. Cosa accade se l’Ente NON commerciale dovesse esercitare in modo secondario un’attività di tipo commerciale? Si pensi al caso dell’Ente religioso che gestisce una scuola privata.

La risposta è piuttosto agevole, in quanto, sono previste in tal senso regole specifiche, particolari:

  • L’Ente NON commerciale ha l’obbligo di tenere una contabilità separata per l’attività commerciale medesima. Di modo che da questa si possa comprendere, quali siano i suoi elementi attivi e quelli passivi.
  • Le spese relative ai beni e servizi promiscuamente utilizzati per l’attività commerciale e per le altre attività dell’Ente, sono deducibili in base al seguente rapporto. Tra l’ammontare dei ricavi e dei proventi che formano il reddito d’impresa, e l’ammontare complessivo dei ricavi dell’Ente stesso.
  • Non saranno considerate commerciali le prestazioni di servizi che NON rientrano nel dettato dell’articolo 2195 c.c. e che comunque, sono rese in conformità alle finalità istituzionali dell’Ente, senza una specifica organizzazione e verso corrispettivi che non devono eccedere i costi di diretta imputazione.
  • Laddove l’attività commerciale, esercitata in via secondaria dall’Ente NON commerciale, abbia un volume d’affari che rientri nei limiti delle IMPRESE MINORI, è possibile optare per una particolare forma di determinazione del reddito d’impresa. Più precisamente, si applicano predeterminati coefficienti di redditività (che a secondo dei casi vanno dal 10% al 25%), sull’ammontare dei ricavi e proventi dell’impresa.

Cosa accade se l’Ente non commerciale svolge attività commerciale nei confronti degli associati 

Ora, con riferimento a questi Enti associativi si pone un’altro problema di non poco conto e cioè, comprendere cosa succede quando essi svolgono attività oggettivamente commerciali nei confronti degli associati. Sul punto bisogna dire che:

  • Non saranno considerate commerciali le attività svolte, in conformità alle finalità istituzionali dell’Ente, nei confronti degli associati o dei partecipanti. All’interno di questi limiti l’attività del cineclub non è equiparabile a quella del cinematografo. Inutile quindi precisare che saranno considerati commerciali, quelle attività svolte al di fuori delle finalità istituzionali dell’Ente o nei confronti di soggetti diversi dagli associati.
  • Le quote o i contributi associativi versate dai soci all’associazione non concorrono a formare il reddito dell’associazione, in quanto, non danno diritto a specifiche controprestazioni da parte di chi le ha corrisposte.
  • Se invece gli associati pagano corrispettivi specifici o quote supplementari per la cessione di beni o la prestazione di servizi, detta cessione e prestazione si considera attività commerciale. Questo perché in tale ipotesi si avrebbe un rapporto di scambio e proventi in toto assimilabili a quelli corrisposti da non associati.

Eccezioni applicabili a taluni Enti non commerciali

Si osservi che nonostante quanto appena detto, le suddette regole appena esposte subiscono rilevanti eccezioni con riferimento ad alcune associazioni. In modo particolare, alle associazioni politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e così via.

Per queste associazioni, infatti, la NON commercialità è estesa anche per quelle attività su cui i soci pagano dei corrispettivi specifici, a condizione che: 1) si tratti comunque di attività che attuano le finalità istituzionali dell’Ente, 2) nello statuto sia vietata la distribuzione degli utili.

Il regime delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale o le c.d. ONLUS

Un discorso separato deve poi essere fatto, per quanto riguarda il regime delle c.d. ONLUS.

Le ONLUS, ovvero, le Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale, sono regolate dal D.Lvo 460/1997 e sono caratterizzate dal fatto che esse sono istituite per operare esclusivamente senza fini di lucro, in quei settori normativamente predeterminati e in favore di persone svantaggiate per le proprie condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari Si pensi:

  • Assistenza sociale
  • Assistenza sanitaria
  • Beneficenza
  • Istruzione

Ed è proprio per le suddette finalità solidaristiche che li contraddistinguono, che è stato previsto loro un regime fiscale di favore. In modo particolare è importante evidenziare il fatto che non sono considerate attività commerciali della ONLUS, anche se oggettivamente tali, né l’attività istituzionale con cui si persegue la finalità solidaristica, né le attività direttamente connesse con quella istituzionale stessa.

Ne consegue, che in virtù di detta decommercializzazione, le ONLUS sono considerati sempre Enti NON commerciali, anche quando la loro attività principale è produttiva di redditi, i quali, però, non possono mai essere fatti oggetto di alcuna distribuzione sia diretta che indiretta.

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