Gli imprenditori e il concorso esterno

Gli imprenditori e il concorso esterno

Imprenditore paga il pizzo ad associazione criminale

Gli imprenditori e il concorso esterno nell’associazione criminale, è un argomento che a mio avviso merita una specifica trattazione.

Questo perché con riferimento all’imprenditore, si pone un problema molto importante. Vale a dire, si fa fatica a capire quando l’imprenditore è vittima dell’associazione criminale; quando invece agisce come, per usare un termine della Cassazione, un colluso.

Spiegazione del concorso esterno in associazione criminale realizzato dall’imprenditore

Quando abbiamo parlato del concorso esterno in associazione criminale, abbiamo parlato anche delle caratteristiche che deve avere il contributo del concorrente.

Al riguardo, la dottrina maggioritaria, soprattutto le Sezioni Unite del 1994, hanno individuato il seguente criterio:

  • Che il concorrente apporti un contributo necessario per l’esistenza della stessa associazione.

Se noi applicassimo rigidamente questo criterio alla persona dell’imprenditore, si rischierebbe di incriminare soggetti vittime del reato; non quindi soggetti concorrenti esterni.

Per fare un’esempio e capire meglio quanto sto cercando di dire.

Immaginiamo che un imprenditore, in quanto minacciato di morte, sia costretto a pagare il pizzo. Non c’è dubbio che la somma elargita dall’imprenditore, all’associazione criminale, si debba ritenere un contributo necessario per la sopravvivenza della stessa.

Con la paradossale conseguenza che l’imprenditore, da vittima del reato di estorsione, si vedrebbe punito per concorso esterno in associazione criminale.

Ecco che emerge l’esigenza di individuare criteri alternativi che ci consentono di capire, quando l’imprenditore è vittima e quando, invece, un concorrente esterno.

Spiegazione del criterio alternativo utilizzato dalla giurisprudenza

La Cassazione ha stabilito il seguente criterio:

  • Con riferimento alla figura dell’imprenditore, può considerarsi concorrente esterno, cioè “colluso” con la mafia, quello che stabilisce un rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità, precisando che l’imprenditore “vittima” è quello che, soggiogato dall’intimidazione, non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno.

Sulla base di questa massima ne consegue quanto segue.

Sarà ritenuto imprenditore vittima, colui che dal rapporto con l’associazione criminale, ha subito solo un danno ingiusto.

Mentre sarà, invece, ritenuto imprenditore colluso, colui che è riuscito a conseguire un profitto nel rapporto con l’associazione criminale.

Facciamo un esempio per capire meglio.

Sarà considerato imprenditore vittima: quello che paga il pizzo e in cambio gli viene garantito che non subirà rapine.

Sarà considerato imprenditore colluso: quello che paga il pizzo e in cambio ottiene appalti; ovvero l’esclusiva nella vendita di quel determinato bene, all’interno di quel determinato territorio.

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