Il reddito di lavoro autonomo

Il reddito di lavoro autonomo

Per quanto riguarda il reddito di lavoro autonomo dobbiamo dire che la nozione è contenuta all’interno dell’articolo 53 TUIR.  Si tratta di una nozione che ha natura residuale. Si arriva, infatti, al lavoro autonomo escludendo tutti gli altri redditi. Sarà quindi Tale, quel reddito che non è fondiario, di capitale o di lavoro dipendente ecc.

Questa residualità della nozione del reddito di lavoro autonomo, normalmente non pone particolari problemi. L’unico inconveniente è quello di non riuscire a definire bene il confine con il reddito di impresa. Non a caso, con riferimento a questo reddito si pone in essere una sorta di zona grigia difficile da definire.

Zona grigia che si presenta solo in presenza dell’esercizio in forma abituale (altrimenti siamo nei redditi diversi) di un’attività diversa da quelle elencate dall’articolo 2195 c.c., in quanto è di lavoro autonomo ogni qualvolta questa attività non è organizzata in forma di impresa.

Ne consegue che se l’attività diversa dal 2195 cc dovesse essere esercitata nella forma d’impresa noi avremmo, non un reddito autonomo, ma un reddito d’impresa. Ipotesi questa che risulta particolarmente difficile che si realizzi nelle professione intellettuali. In questo tipo di professioni l’organizzazione normalmente non sopprime quell’elemento legato all’apporto personale del soggetto. Mentre invece, l’organizzazione si realizza in modo assolutamente agevole quando si tratta di arti servili.

Le figure “assimilate” al lavoro autonomo ai fini reddituali

La categoria di lavoro autonomo che stiamo esaminando, è caratterizzata dalla presenza di un netto sparti acque tra: il primo comma e le ipotesi del comma due.

Dette ipotesi nel nostro testo sono erroneamente definite ASSIMILATE. A mio parere si tratta di ipotesi autonome, perché mentre nel primo comma c’è l’esercizio della professione abituale e quindi c’è un obbligo di tenuta della contabilità, nelle altre ipotesi di reddito di cui al secondo comma non vi è ne lo stesso obbligo, ne la stessa stabilità nell’esercizio.

Per fare un esempio: un professore che pubblica articoli sulle riviste. Ora con riferimento a detto esempio, ci chiediamo:

  • detta attività sia di collaborazione coordinata o di diritti d’autore?

Normalmente sono di diritti d’autore xk le collaborazioni presuppongono un rapporto continuativo. Quando arrivano le indicazioni del compenso, il professore non deve emettere fattura perché viene fatta una tassazione direttamente dalla casa editrice. Vi è una ritenuta a titolo di acconto che riguarda solo la  parte relativa al 70%. Il 30 % è esentasse, in quanto, si ritiene che vi siano un minimo di spese che il soggetto affronta.

Figure del primo e del secondo comma articolo 53

Il fatto che le figure del secondo comma siano autonome rispetto a quelle del primo comma è supportato anche dai poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria.

La disciplina su come si accede in un’azienda è la stessa a quella in cui si accede in uno studio. I metodi di accertamento vengono considerati unitariamente, ma unitariamente tra imprenditore e professionista di cui al primo comma dell’art 53 TUIR e non con le altre figure di cui al secondo comma. Lo stesso potremmo dire per l’IVA, non vi è alcuna differenza, in quanto, i correlativi adempimenti sono identici.

Bisogna precisare che le ipotesi del primo comma dell’articolo 53 TUIR sono le più importanti, in quanto, caratterizzano la categoria del lavoro autonomo. Ma ciò non deve indurci nell’errore di pensare che i redditi da lavoro autonomo si esauriscono nelle professioni intellettuali.

Ipotesi reddituali primo comma dell’articolo 53 TUIR

Non vi è dubbio che nel primo comma vi rientrano sia le professioni intellettuali:

  • il medico
  • l’avvocato
  • l’ingegnere

Ma vi rientrano anche le c.d. arti servili

  • estetista
  • guida alpina
  • il giardiniere
  • il fisioterapista
  • ecc.

E questo perché tutte le attività diverse dal 2195 cc, possono tendenzialmente entrare nella categoria del lavoro autonomo. A condizione chiaramente che esse siano esercitate:

  1. abitualmente
  2. senza organizzazione in forma d’impresa
  3. senza rapporto di dipendenze di terzi.

L’obbligo di contabilità

Chi svolge un’attività che può essere classificata di lavoro autonomo ha l’obbligo di tenuta della contabilità. La determinazione del reddito di categoria è simile al reddito d’impresa, ma ovviamente qui non applichiamo quella sua analitica disciplina.

Infatti, questo tipo di reddito viene ad essere determinato secondo il criterio di cassa e non di competenza. Quindi se io a fine anno sostengo un costo per acquisti che poi utilizzerò l’anno dopo, quest’acquisto gioca lo stesso nella quantificazione dei costi dell’anno in cui l’acquisto stesso è avvenuto.

Si pensi all’avvocato che a Dicembre potrebbe paradossalmente rifiutare il pagamento della parcella da parte del cliente chiedendo di effettuare il pagamento a Gennaio. Questo perché così quel provento viene imputato nel periodo d’imposta successivo. La regola opposta si applica nel caso di determinazione del reddito d’impresa.

In ogni caso, il lavoratore autonomo ha l’obbligo di tenere la contabilità attraverso un registro IVA. Esso è composto dal registro delle fatture e dal registro degli acquisti. In quest’ultimo si inseriscono anche i costi senza fatturazione es. la paga del dipendente.

E’ agevole comprendere che si tratta di una contabilità semplificata, attraverso la quale riuscire a comprendere quale sia il reddito netto della categoria. Reddito quest’ultimo che otteniamo con la differenza tra compensi percepiti (nel professionista si chiamano compensi e non ricavi) e spese affrontate nello stesso periodo d’imposta.

Ulteriori regole per la determinazione del reddito di lavoro autonomo

Questa non è l’unica regola che si applica per determinare il reddito del professionista, in quanto, se ne applicano della altre, più precisamente:

In primo luogo, poiché l’attività del professionista è tendenzialmente personale, appare evidente la preoccupazione del legislatore di evitare che nel determinare il reddito netto di lavoro autonomo, il professionista faccia confluire nel reddito medesimo componenti negativi che sono state affrontate per uso e consumo personale del soggetto stesso.

E’ infatti per questo che il legislatore con una serie norme, ha limitano – attraverso percentuali e quindi con presunzioni assolute – la deducibilità dei costi che hanno il sospetto di essere promiscui.

Per esempio le spese alberghiere o per il vitto sono deducibili del 2%; l’auto al 50%  e i correlativi consumi come la benzina al 40% e questo perché il legislatore presume (presunzione assoluta) che la restante parte della percentuale sia ad uso personale.

Deroga al criterio di cassa

In secondo luogo dobbiamo dire che il legislatore nel dettare i criteri per la determinazione del reddito netto di lavoro autonomo, ha esteso taluni aspetti propri della disciplina del reddito d’impresa, più precisamente ha stabilito che in taluni casi il criterio della cassa è derogata da quello della competenza. Ciò trova emblematica manifestazione:

  • Nelle quote annualmente maturate e non corrisposte del TFR dei dipendenti del professionista. Quest’ultimo può dedurre questa quota del TFR anche se non l’ha ancora pagata
  • Nell’acquisto dei beni strumentali (risma di carta, attrezzature, beni arredo, ecc). Queste spese sono deducibili per intero nell’anno in cui l’acquisto è avvenuto solo se il loro costo unitario non sia superiore alle 516,00 euro. Quelle che eccedono questo importo sono assoggettate ad una procedura di ammortamento. Ne consegue che il costo viene dedotto per quote annuali di ammortamento (quota di utilità del bene consumato in quell’anno). Quote e coefficienti sono stabiliti in un apposito decreto ministeriale. Per esempio l’avvocato può dedurre il computer il medico no.

Ed è stata, inoltre, estesa al campo dei redditi di lavoro dipendente anche la tassabilità delle plusvalenze eventualmente realizzate o per cessione di beni strumentali, clientela o elementi immateriali.

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