Ammortamenti, rimanenze, accantonamenti

Ammortamenti, rimanenze, accantonamenti

Concorrono a determinare il reddito d’impresa, anche elementi che chiedono un’attività valutativa da parte dell’imprenditore. Questi elementi li possiamo suddividere in tre categorie:

  • Ammortamenti
  • Rimanenze
  • Accantonamenti

Ammortamenti

Con riferimento agli ammortamenti possiamo dire, in prima approssimazione che essi servono a ripartire in più esercizi, i costi supportati per l’acquisto di beni e servizi. Quest’ultimi, concorrono, appunto, a determinare il reddito di più esercizi.

L’ipotesi tipica è quella del costo per l’acquisto di beni strumentali. Detto costo, infatti, non può essere interamente dedotto nell’anno in cui l’acquisto è stato effettuato. Questo perché esso deve essere ripartito, tra i vari anni nei quali il bene viene utilizzato per lo svolgimento dell’attività produttiva.

Bisogna però dire che la disciplina tributaria degli ammortamenti, pone in essere una serie di limitazioni, su quelle che sono le valutazioni che in questo campo devono essere fatte dall’imprenditore.

In ogni caso, il legislatore distingue, gli ammortamenti riferibili ai beni materiali (art. 102 TUIR), dagli ammortamenti riferibili ai beni immateriali (art. 103 TUIR).

Beni materiali

Per quanto riguarda quelli riferibili ai beni materiali, essi sono deducibili (art. 102 comma 2 TUIR),  in misura non superiore ai coefficienti stabiliti con apposito decreto del ministro dell’economia e delle finanze. Coefficienti che ovviamente devono essere applicati al costo del bene.

Quanto è stato appena detto merita due puntualizzazioni:

In primo luogo, che le quote di ammortamento sono deducibili a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene e che con riferimento al primo esercizio dette quote di ammortamento sono ridotte della metà.

In secondo luogo, che nel caso in cui il bene sia eliminato dal ciclo produttivo prima che esso sia stato completamente ammortizzato, è ammesso mettere in deduzione integralmente il costo residuo.

Beni immateriali

Per quanto, invece, riguarda l’ammortamento di beni immateriali, si pensi ai c.d. brevetti industriali o diritti di usare opere dell’ingegno, essi sono deducibili (art. 103 TUIR),  nei limiti del 50% del costo sostenuto dall’imprenditore, mentre di un diciottesimo (1/18) se si tratta, invece, di costi sostenuti per l’acquisto di marchi di impresa, ovvero, del valore di avviamento iscritto nell’attivo del bilancio.

Sulla base di quanto appena detto, ammortamento segue criteri di natura forfettaria e non guarda quindi, all’effettivo deperimento del bene.

Rimanenze

La disciplina delle rimanenze ha ad oggetto l’area dei beni-merce. Anzi poiché oggetto di questa disciplina è il c.d. “magazzino”, essa riguarda anche, materie prime, beni semilavorati, titoli non costituenti immobilizzazioni finanziarie e tanto altro.

Ne consegue, che la disciplina delle rimanenze risponde: all’esigenza di stabilire i criteri che devono essere seguiti per valutare le variazioni positive o negative di valore che sono intervenute su questi beni tra l’inizio e la fine del periodo d’imposta.

Si osservi, che oggetto di valutazione saranno soltanto le rimanenze finali, perché per quanto riguarda l’esistenze iniziali vige il principio che esse coincidono con l’ammontare indicato dal contribuente per le rimanenze finali del precedente esercizio.

Ad ogni modo, anche con riferimento alle rimanenze il legislatore si discosta non poco dalla disciplina civilistica. Quest’ultima impone che esse devono essere iscritte nel bilancio per il minore ammontare: tra il costo sostenuto per l’acquisto e il valore di mercato che hanno a fine esercizio.

Sul versante tributario, invece, il legislatore (art. 92 TUIR), stabilisce che esse formano il reddito per un valore non inferiore al costo sostenuto.

LIFO: Last In, First Out

Ma cosa accade nel caso in cui l’imprenditore abbia acquistato nello stesso periodo d’imposta i beni a prezzi differenti? Perché ci poniamo questa domanda? Per capire quali beni si devono intendere ceduti e quali, invece, ancora esistenti in magazzino.

La risposta è agevole e bisogna dire che il legislatore ha per così dire istituzionalizzato il LIFO (Last In, First Out), che vuol dire l’ultimo ad entrare si considera primo ad uscire e quindi, tenendo conto della normale inflazione, indirettamente attraverso il LIFO il legislatore tributario si avvicina alle regole civilistiche.

Tuttavia bisogna precisare che queste regole non sono esclusive, in quanto, il legislatore ha disposto che:

  • Se l’imprenditore adotta il criterio valutativo del costo medio ponderato (FIFO), può determinare le rimanenze dal punto di vista fiscale sulla base del valore risultante da detta metodo adottato. (Art. 92 comma 4 TUIR).
  • Se, invece, in valore unitario medio dei beni oggetto di rimanenza, sia superiore al valore normale medio che i beni medesimi hanno nell’ultimo mese dell’esercizio, il legislatore consente di valutare fiscalmente l’intera quantità di questi beni che costituiscono la rimanenza sulla base di quest’ultimo valore e quindi, valore normale medio. E’ agevole comprendere che si tratta di una svalutazione del valore delle rimanenze. (Art. 92 comma 5 TUIR).

Accantonamenti

Essi sono elementi reddituali negativi di natura prudenziale, per fare fronte a futuri e assai probabili oneri finanziari a carico dell’impresa.

L’esempio tipico è quello degli accantonamenti per il TFR dei correlativi dipendenti. Al riguardo l’imprenditore non ha nessun debito attuale, in quanto, il debito sorge solo a rapporto di lavoro finito. Ne consegue che l’accantonamento ha lo scopo di far gravare il TFR nel reddito dei singoli esercizi, perché quest’ultimi sono il fondamento causale del medesimo.

Analoghe considerazioni possono farsi, ad esempio, anche per gli accantonamenti relative a controversie dall’esito prevedibilmente negativo, ma non ancora definite.

Con riferimento a detti accantonamenti il legislatore tributario detta una disciplina non poco diversa da quella dettata dal legislatore civile. Infatti, mentre il legislatore civile per tutelare l’affidamento dei terzi detta regole volte a evitare che l’imprenditore sopravvaluti i suoi elementi attivi e sottovaluti quelli passivi; il legislatore tributario, invece, detta regole volte alla praticità e certezza limitando la possibilità che l’imprenditore sottovaluti gli elementi attivi e sopravvaluti quelli passivi.

Principio generale in materia di accantonamenti

Ne consegue che in materia di accantonamenti, il principio generale è che: sono fiscalmente deducibili, solo gli accantonamenti espressamente previsti dalle norme tributarie. Più precisamente quelli di quiescenza e previdenza per il personale dipendente, quelli sui rischi su crediti, e poi altri di minore importanza sistematica.

I primi (quiescenza e previdenza) sono deducibili nei limiti delle quote maturate in ciascun esercizio, in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano lo stesso  rapporto di lavoro.

I secondi (rischi su crediti) essi sono deducibili in ciascun esercizio nei limiti dello 0,50% del valore nominale del credito e comunque non oltre il 5%. La stessa regola si applica anche alle ipotesi di svalutazione dei crediti. Con la precisazione che nel caso in cui il credito non fosse realizzato interamente, la correlativa perdita sarà deducibile solo per la parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi.

Sulla base di quanto fin’ora detto, è inutile precisare ancora che per ragioni di cautela fiscale, tutti gli altri accantonamenti inseriti nel bilancio civile, sono indeducibili.

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