Imposte sui trasferimenti. Cenni storici

Imposte sui trasferimenti. Cenni storici

Nel nostro ordinamento si qualificano come imposte (indirette) sui trasferimenti di ricchezza, tutte quelle che colpiscono gli atti e i negozi giuridici produttivi di modificazioni patrimoniali.

Ne consegue che in questo tipo d’imposte, la capacità contributiva è rappresentata da detta modificazione della situazione patrimoniale del contribuente e si è normalmente soliti collegare l’imposizione, alla tutela che l’ordinamento giuridico attribuisce all’effetti provocati dall’atto o da quel contratto.

Per quanto, invece, riguarda i soggetti passivi possiamo dire che normalmente essi sono costituiti da tutti coloro che subiscono detti mutamenti patrimoniali.

Ora, prima che l’Agenzia delle Entrate fosse istituita vi erano diversi Uffici separati, si pensi all’Ufficio IVA o a quello del registro e così via. Perché ho introdotto questo discorso? Perché anche prima che l’Agenzia delle Entrate fosse istituita, l’ufficio del registro si è sempre occupato di amministrare, quelle che possiamo definire le più importanti imposte sui trasferimenti di ricchezza, e cioè:

  • Imposte di registro
  • Imposte sulle successioni e donazioni
  • Imposte ipotecarie e catastali

Sul punto si osservi come questi tributi, inizialmente nati come tassa (proprio perché percepiti come corrispettivi per quella tutela appresta dall’ordinamento giuridico), si sono poi man mano trasformate come imposte, in quanto, si limitavano a colpire le operazioni economiche sottostanti agli atti medesimi.

In ogni caso è importante dire che dette imposte, benché formalmente distinte, costituiscono un sistema impositivo sostanzialmente unitario, in quanto, hanno nella disciplina dell’imposta di registro il loro comune e principale punto di riferimento.

Premessa, quindi, la centrale rilevanza della disciplina dell’imposta di registro, è adesso opportuno richiamare l’attenzione su alcune scelte politico-giuridiche di fondo:

  1. L’esigenza di non ostacolare la circolazione dei capitali ai fini produttivi:

Sul punto possiamo dire che i trasferimenti di ricchezza trovano sicuramente maggiore applicazione, in quelle che sono le aree delle operazioni societarie e imprenditoriali in generale.

Ma per esse – grazie anche a delle Direttive europee – si è da tempo affermato il principio secondo cui devono essere assoggettati ad imposta sul trasferimento solo gli atti mediante i quali, si fa uscire o entrare, dal patrimonio della società o dell’ente commerciale, beni diversi dal denaro.

Con la precisazione che sono assoggettati ad imposta in misura fissa, tutti gli atti di riorganizzazione imprenditoriale ( fusione, scissione, trasformazione ecc) e tutti quelli relative alla negoziazione di azioni, quote di società e titoli rappresentativi in generale sia dei capitali propri delle società, sia di quelli in prestito.

Ne consegue che sulla base di quanto abbiamo detto, vengono considerati trasferimento ai fini di queste imposte, soltanto il trasferimento di beni e diritti:

  • Tra non imprenditori
  • Nel passaggio tra sfera privata e quella imprenditoriale
  • Nel passaggio dalla sfera imprenditoriale a quella privata dei soci

 

Ciò come abbiamo detto, trova la sua giustificazione nell’intento di non ostacolare la circolazione delle ricchezze in ambito imprenditoriale.

Anzi, si osservi, che per le medesime ragioni sono state recentemente escluse dall’assoggettamento ad imposta, anche le successioni e donazioni aventi ad oggetto:

  • Aziende
  • Rami d’aziende
  • Azioni o quote sociali idonee ad acquistare o integrare il controllo sociale

A condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività per almeno cinque anni dalla data del trasferimento.

  1. L’inversione del rapporto tra il regime dei trasferimenti a titolo oneroso e a titolo gratuito:

Per molto tempo, la disciplina tributaria dei trasferimenti gratuiti di ricchezza – si pensi alle donazioni o successioni – è stata contrassegnata dal convincimento che essi fossero meritevoli di essere assoggettate a forme di imposizione di tipo patrimoniale più onerose rispetto a quelle riservate ai trasferimenti a titolo oneroso.

Fu per questo motivo  che nel 1923, si ebbe una specifica imposta progressiva sulle successioni, le cui aliquote furono estese anche alle donazioni.

Nel 1945 all’imposta sulle singole quote ereditarie si affiancò, un imposta aggiuntiva, anch’essa progressiva, sul valore globale netto dell’asse ereditario.

Nel 1972 si accorparono questi due distinti prelievi in un’imposta unitaria sulle successioni e donazioni. Imposta unitaria quest’ultima che aveva trovato il suo assetto finale nel D.Lvo 346/1990.

Si osservi però, che dal punto di vista pratico questa imposizione progressiva sui trasferimenti gratuiti di ricchezza, hanno sempre dato dei risultati inferiori rispetto a quelle che erano le aspettative e questo perché, detto tipo di progressività era eludibile in diversi modi.

Non a caso, questa materia negli ultimi anni è stata oggetto di diversi provvedimenti normativi che hanno, per un verso ampliato l’area delle operazioni tassabili, estendendola fino alle c.d. liberalità indirette, per altro verso hanno, determinato una sostanziale inversione del precedente rapporto tra l’imposizione dei trasferimenti a titolo gratuito e quelli a titolo oneroso.

In modo particolare, il legislatore, in un primo momento ha soppresso l’imposta sul valore globale netto dell’asse ereditario, riducendo altresì le aliquote applicabili sulle quote dei singoli beneficiari della donazione o successione.

In secondo luogo, ha poi totalmente soppresso l’imposta sulle successioni e sostanzialmente equiparato il regime delle donazioni a quello dei trasferimenti a titolo oneroso.

Successivamente (Novembre 2006 con la legge 286) il legislatore ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni, anche se con delle aliquote e una disciplina sostanziale molto più favorevole di quelle riservate ai trasferimenti a titolo oneroso.

Quest’ultimo cambio di indirizzo che ha portato il legislatore e reintrodurre l’imposta sulle successioni e donazioni è stato sicuramente influenzato dall’idea legare le imposte sui trasferimenti a titolo gratuito, non tanto al trasferimento in se, quanto all’arricchimento conseguito dal beneficiario. Ed è proprio per questo motivo che in dottrina si comincia a ritenere che le imposte sulle successioni e donazioni non siano più da ritenere come imposte indirette sui trasferimenti, bensì come imposte dirette sul reddito dei beneficiari. Reddito che in questo caso viene inteso come Reddito-Entrata.

Per quanto queste argomentazioni possano essere belle e persuasive, noi non possiamo non tenere conto del fatto che detta imposta sulle successioni e donazioni sono ancora largamente permeate dalle regole proprie delle imposte sui trasferimenti.

  1. Le conseguenze dell’introduzione dell’IVA:

Sul punto, bisogna dire che le imposte sui trasferimenti e quelle sugli scambi hanno caratteristiche disciplinari assai diverse. Nelle prime e cioè, nelle imposte sui trasferimenti, oggetto della capacità contributiva è appunto il trasferimento stesso, mentre nelle seconde e quindi, nelle imposte sugli scambi, la capacità contributiva è invece rappresentata dal consumo di ricchezza.

Ne consegue che proprio per la loro diversità, possiamo dire che da un punto di vista sistematico, nulla osterebbe all’eventuale applicazione di entrambi i tipi di tributi nella stessa operazione economica.

Ma si è osservato anche che l’eventuale cumulo, sia dell’IVA che dell’imposta sui trasferimenti in una stessa operazione, avrebbe portato ad un’eccessiva penalizzazione per il contribuente.

Fu proprio per questo motivo che con l’introduzione dell’IVA, si sancì il c.d. principio di alternatività, contenuto nell’articolo 40 del DPR 131/1986 (DPR che disciplina l’imposta di registro) che consiste nel fatto che uno dei due deve venire meno. E quale dei due verrà meno? La risposta è molto semplice, il tributo meno speciale e quindi l’imposta di registro. Anche se a dire il vero la parola alternatività, non è condivisa dal professore perché con essa si dovrebbe avere la totale esclusione dell’una a vantaggio dell’applicazione dell’altra e invece come abbiamo visto nelle operazioni soggette ad IVA, si applica l’IVA medesima e si applica anche l’imposta di registro in misura fissa (168 euro) se l’atto rientra tra quelli assoggettati a registrazione. E questo perché l’atto deve essere comunque registrato. Si osservi come in questa ipotesi appena descritta l’imposta di registro si atteggia più come una tassa, in quanto, la registrazione dell’atto serve a dare data certa.

Si osservi che l’alternatività di cui stiamo parlando è stata poi estesa anche alle c.d. liberalità indirette, in quanto, è stato disposto che, esse non sono soggette all’imposta sulle successioni e donazioni  qual’ora l’atto rientra tra quelli soggetti all’IVA o all’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.

Più precisamente, se l’operazione non rientra tra quelle nel campo di applicazione dell’IVA, allora bisogna dire che:

  • se si tratta di atto inter vivos si ha l’imposta di registro con un’aliquota non fissa ma proporzionale che oggi è del 9 %;
  • se invece si tratta di successioni o donazione, si applicherà la c.d. imposte sulle successioni e donazione, la quale è dotata di aliquote diverse a secondo del grado di parentela. Infatti, tanto più si allontano il rapporto e tanto più si paga.

Intendendosi per tale anche le operazioni non imponibili o esenti.

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